Gesti di rivolta, gesti simbolici, gesti d’amore. In un contesto storico così profondamente marcato dall’antipolitica, da diffusi desideri di sopraffazione, dalla terribile esperienza di una guerra lontana ma vicinissima, vogliamo usare la scena non per guardarci dentro ma per guardare lontano. Un lontano che può essere fisico ma anche temporale, per portare dentro discorsi che vengono da lontano, per misurare non tanto le distanze ma ciò che le colma. Per riconoscersi, riconoscerci, o riconoscere qualcosa. Il tenore di un discorso, l’elettricità di un’idea, una città in un’altra, una possibilità nelle montagne tra i palazzi.
L’impianto curatoriale del festival di quest’anno si allontana espressamente dall’attenzione all’esperienza individuale che negli ultimi anni sussume il discorso teorico e in qualche misura satura la pratica teatrale, per proporre lavori che indagano la storia e il suo racconto come fatto collettivo e condiviso, di ciò che abbiamo in comune e non di ciò che rende le nostre singole esistenze diverse o uniche rispetto alle altre.
La centralità del gesto nel programma – iniziamo con la minuziosa analisi di un saluto romano e finiamo con la coreografia muta e potente di due bandiere – torna sull’idea Brechtiana del Gestus come momento fisico e comportamentale di uno spettacolo in cui d’un tratto tutti i punti di contatto tra l’arte, la storia e la realtà sociale del presente si rendono chiaramente visibili. Una vecchia idea del teatro politico che vogliamo mettere alla base di una prova nel contemporaneo per radicarvi una riflessione sui possibili usi della scena adesso, a Palermo, in Europa, con gli strumenti a nostra disposizione.
Chi vorrà seguirci lungo questi tre weekend di ottobre – e speriamo che in molti abbiano voglia di farlo – noterà che abbiamo costruito questo festival in capitoli, con lavori indipendenti tra loro ma strettamente inanellati per il modo in cui procedono da un discorso all’altro e per come ci permettono di ragionare da diverse angolazioni sui misteriosi e potentissimi rapporti tra immagine, corpo e politica che attraversano tutto il programma. Per questo il festival di quest’anno è anche pieno di momenti di incontro - seminari, conversazioni, feste – e di approfondimenti con le artiste e gli artisti, per conversare insieme e dare spazio alla loro ricerca oltre il teatro o la performance nelle arti visive, nel suono, nel video. Come sempre, infine, dedichiamo la nostra attenzione a bambinə e ragazzə con spettacoli immaginati specificatamente per loro ma che riflettono lo spirito e le preoccupazioni estetiche e politiche di tutto il festival.
La storia del Festival Teatro Bastardo è una storia di curiosità e indipendenza di cui sentiamo la gioia e la responsabilità, e con questi sentimenti vi invitiamo alla sua VIII edizione. Facciamo nostre le primissime parole del festival dell’anno scorso, pronunciate in scena da Alessandro Costagliola: “Lo so che sei in questo teatro, bastardo!”. Qui, qualcosa si muove.
Giulia D’Oro e Flora Pitrolo
Gesti di rivolta, gesti simbolici, gesti d’amore. In un contesto storico così profondamente marcato dall’antipolitica, da diffusi desideri di sopraffazione, dalla terribile esperienza di una guerra lontana ma vicinissima, vogliamo usare la scena non per guardarci dentro ma per guardare lontano. Un lontano che può essere fisico ma anche temporale, per portare dentro discorsi che vengono da lontano, per misurare non tanto le distanze ma ciò che le colma. Per riconoscersi, riconoscerci, o riconoscere qualcosa. Il tenore di un discorso, l’elettricità di un’idea, una città in un’altra, una possibilità nelle montagne tra i palazzi.
L’impianto curatoriale del festival di quest’anno si allontana espressamente dall’attenzione all’esperienza individuale che negli ultimi anni sussume il discorso teorico e in qualche misura satura la pratica teatrale, per proporre lavori che indagano la storia e il suo racconto come fatto collettivo e condiviso, di ciò che abbiamo in comune e non di ciò che rende le nostre singole esistenze diverse o uniche rispetto alle altre.
La centralità del gesto nel programma – iniziamo con la minuziosa analisi di un saluto romano e finiamo con la coreografia muta e potente di due bandiere – torna sull’idea Brechtiana del Gestus come momento fisico e comportamentale di uno spettacolo in cui d’un tratto tutti i punti di contatto tra l’arte, la storia e la realtà sociale del presente si rendono chiaramente visibili. Una vecchia idea del teatro politico che vogliamo mettere alla base di una prova nel contemporaneo per radicarvi una riflessione sui possibili usi della scena adesso, a Palermo, in Europa, con gli strumenti a nostra disposizione.
Chi vorrà seguirci lungo questi tre weekend di ottobre – e speriamo che in molti abbiano voglia di farlo – noterà che abbiamo costruito questo festival in capitoli, con lavori indipendenti tra loro ma strettamente inanellati per il modo in cui procedono da un discorso all’altro e per come ci permettono di ragionare da diverse angolazioni sui misteriosi e potentissimi rapporti tra immagine, corpo e politica che attraversano tutto il programma. Per questo il festival di quest’anno è anche pieno di momenti di incontro - seminari, conversazioni, feste – e di approfondimenti con le artiste e gli artisti, per conversare insieme e dare spazio alla loro ricerca oltre il teatro o la performance nelle arti visive, nel suono, nel video. Come sempre, infine, dedichiamo la nostra attenzione a bambinə e ragazzə con spettacoli immaginati specificatamente per loro ma che riflettono lo spirito e le preoccupazioni estetiche e politiche di tutto il festival.
La storia del Festival Teatro Bastardo è una storia di curiosità e indipendenza di cui sentiamo la gioia e la responsabilità, e con questi sentimenti vi invitiamo alla sua VIII edizione. Facciamo nostre le primissime parole del festival dell’anno scorso, pronunciate in scena da Alessandro Costagliola: “Lo so che sei in questo teatro, bastardo!”. Qui, qualcosa si muove.
Giulia D’Oro e Flora Pitrolo