incontri
Un festival che sempre più si assottiglia nella sua programmazione, ma che tuttavia strenuamente resiste, in un periodo che ha visto il posticipo se non addirittura la cancellazione di molti eventi culturali: questo è Teatro Bastardo 2020.
Dovremmo essere contenti (e lo siamo) di essere riusciti a mettere a segno questa edizione. Ma quello di Teatro Bastardo appare un futuro sempre più incerto perché, a prescindere dalla pandemia, constatiamo in generale che sulla cultura e sul teatro c’è un investimento sempre più ridotto. Di fatti ci si chiede: se la pandemia ci ha resi poveri di cultura e ci ha rubato quel bene prezioso che è l’immaginazione, se questo tempo precario che attraversiamo ci ha tolto la possibilità di sperimentare con la fantasia i mondi rappresentati sulla scena con i quali tante volte abbiamo empatizzato, perché allora – tanto a livello nazionale che locale – non si punta a un investimento più massiccio sulle attività culturali? Certo se in periodi come questo non ci fossero stati i libri, la tv, il cinema, il teatro, la musica a farci compagnia e a rendere più attraversabili (spesso rendendole più “dense”) queste giornate, tutto sarebbe stato più pesante e non avremmo avuto quegli input, che aiutano a riflettere meglio e a decifrare, osservandola con occhi diversi, la tragicità degli eventi che ci circondano, scoprendone, a volte, i nessi nascosti e anche i risvolti positivi. Se il compito della cultura è anche questo, se il teatro anche a questo serve, perché allora non interrogarsi seriamente sulle scelte che la politica culturale compie al riguardo? Perché non chiedersi delle ragioni di questa scarsa capacità di fare rete fra le piccole realtà locali e sull’esiguo (o a volte addirittura nullo) sostegno alle piccole realtà da parte delle grandi?
Forse una possibile risposta a questi interrogativi è che la politica fa le proprie scelte, che premiano e sostengono alcuni a discapito di altri. Giusto e legittimo, purché esista una strategia, che sia leggibile, dichiarata, e soprattutto verificabile ed efficace. Lo stesso dicasi dei Teatri (stabili) nel momento in cui decidono di investire su un settore anziché su un altro. Insomma, una vecchia storia che ciclicamente si ripete.
Ne prendiamo atto constatando che il successo o l’insuccesso di un’impresa culturale dipende non solo dalla professionalità di chi ne è il diretto organizzatore, ma dalle scelte (o non scelte) dei suoi sostenitori in un sistema di concause e di corresponsabilità che investe tutti i suoi protagonisti principali e quelli satellitari.
Questa breve edizione del festival si intitola GIORNATE BASTARDE in ricordo dei giorni tremendi che abbiamo vissuto e viviamo in quest’anno terribile: i giorni di un tempo anonimo, in cui all’amarezza dei danni subiti sul fronte economico si aggiungono anche quelli che continuiamo a vivere sul versante culturale: teatri ancora chiusi, programmazioni festivaliere che boccheggiano, pubblico e artisti che non vedono l’ora di ricongiungersi senza più distanze e impedimenti.
Gli intensi spettacoli inseriti in questo breve programma sono, in chiave metaforica, una riflessione proprio sulla nostra attuale sospensione spazio-temporale. Una riflessione su questi tempi che riecheggia un passato lontano, come nello spettacolo Se questo è Levi della compagnia Fanny & Alexander, che prende spunto dalla storia di Primo Levi per costruire una sorta di ponte immaginario fra ieri ed oggi; o ancora attraversa un presente disastroso e distopico come quello della Napoli di Napucalisse di Mimmo Borrelli; e infine approda alla città inesistente di Siedi la terra della compagnia Maniaci d’Amore, allegoria del villaggio globale in cui tutti viviamo, dove cinicamente ci si proietta sul domani e ci si interroga su... dove stiamo realmente andando.
Questa, in conclusione, è anche la domanda che tragicamente pone questa sesta edizione di Teatro Bastardo: un’ultima provocazione, un ultimo tentativo di smuovere le acque dell’indolenza, sperando che funzioni. Giovanni Lo Monaco
TEATRO BASTARDO
VI EDIZIONE: GIORNATE BASTARDE
7-11 ottobre 2020
Palermo
direzione artistica | Giovanni Lo Monaco
direzione organizzativa | Giovanna La Barbera
produzione | Agnese Gugliara
comunicazione | Giulia D’Oro
ufficio stampa | Sofia Li Pira
progetto grafico | Venti caratteruzzi
website / coordinamento redazione | Roberto Speziale
fotografa | Francesca Lucisano
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TEATRO BASTARDO
VI EDIZIONE: GIORNATE BASTARDE
7-11 ottobre 2020
Palermo
direzione artistica | Giovanni Lo Monaco
direzione organizzativa | Giovanna La Barbera
produzione| Agnese Gugliara
comunicazione| Giulia D’Oro
ufficio stampa | Sofia Li Pira
progetto grafico | Venti caratteruzzi
website / coordinamento redazione | Roberto Speziale
fotografa | Francesca Lucisano
Un festival che sempre più si assottiglia nella sua programmazione, ma che tuttavia strenuamente resiste, in un periodo che ha visto il posticipo se non addirittura la cancellazione di molti eventi culturali: questo è Teatro Bastardo 2020.
Dovremmo essere contenti (e lo siamo) di essere riusciti a mettere a segno questa edizione. Ma quello di Teatro Bastardo appare un futuro sempre più incerto perché, a prescindere dalla pandemia, constatiamo in generale che sulla cultura e sul teatro c’è un investimento sempre più ridotto. Di fatti ci si chiede: se la pandemia ci ha resi poveri di cultura e ci ha rubato quel bene prezioso che è l’immaginazione, se questo tempo precario che attraversiamo ci ha tolto la possibilità di sperimentare con la fantasia i mondi rappresentati sulla scena con i quali tante volte abbiamo empatizzato, perché allora – tanto a livello nazionale che locale – non si punta a un investimento più massiccio sulle attività culturali?
Certo se in periodi come questo non ci fossero stati i libri, la tv, il cinema, il teatro, la musica a farci compagnia e a rendere più attraversabili (spesso rendendole più “dense”) queste giornate, tutto sarebbe stato più pesante e non avremmo avuto quegli input, che aiutano a riflettere meglio e a decifrare, osservandola con occhi diversi, la tragicità degli eventi che ci circondano, scoprendone, a volte, i nessi nascosti e anche i risvolti positivi.
Se il compito della cultura è anche questo, se il teatro anche a questo serve, perché allora non interrogarsi seriamente sulle scelte che la politica culturale compie al riguardo? Perché non chiedersi delle ragioni di questa scarsa capacità di fare rete fra le piccole realtà locali e sull’esiguo (o a volte addirittura nullo) sostegno alle piccole realtà da parte delle grandi?
Forse una possibile risposta a questi interrogativi è che la politica fa le proprie scelte, che premiano e sostengono alcuni a discapito di altri. Giusto e legittimo, purché esista una strategia, che sia leggibile, dichiarata, e soprattutto verificabile ed efficace. Lo stesso dicasi dei Teatri (stabili) nel momento in cui decidono di investire su un settore anziché su un altro. Insomma, una vecchia storia che ciclicamente si ripete.
Ne prendiamo atto constatando che il successo o l’insuccesso di un’impresa culturale dipende non solo dalla professionalità di chi ne è il diretto organizzatore, ma dalle scelte (o non scelte) dei suoi sostenitori in un sistema di concause e di corresponsabilità che investe tutti i suoi protagonisti principali e quelli satellitari.
Questa breve edizione del festival si intitola GIORNATE BASTARDE in ricordo dei giorni tremendi che abbiamo vissuto e viviamo in quest’anno terribile: i giorni di un tempo anonimo, in cui all’amarezza dei danni subiti sul fronte economico si aggiungono anche quelli che continuiamo a vivere sul versante culturale: teatri ancora chiusi, programmazioni festivaliere che boccheggiano, pubblico e artisti che non vedono l’ora di ricongiungersi senza più distanze e impedimenti.
Gli intensi spettacoli inseriti in questo breve programma sono, in chiave metaforica, una riflessione proprio sulla nostra attuale sospensione spazio-temporale. Una riflessione su questi tempi che riecheggia un passato lontano, come nello spettacolo Se questo è Levi della compagnia Fanny & Alexander, che prende spunto dalla storia di Primo Levi per costruire una sorta di ponte immaginario fra ieri ed oggi; o ancora attraversa un presente disastroso e distopico come quello della Napoli di Napucalisse di Mimmo Borrelli; e infine approda alla città inesistente di Siedi la terra della compagnia Maniaci d’Amore, allegoria del villaggio globale in cui tutti viviamo, dove cinicamente ci si proietta sul domani e ci si interroga su... dove stiamo realmente andando.
Questa, in conclusione, è anche la domanda che tragicamente pone questa sesta edizione di Teatro Bastardo: un’ultima provocazione, un ultimo tentativo di smuovere le acque dell’indolenza, sperando che funzioni. Giovanni Lo Monaco